Ctv Advertising: è il futuro del marketing?

La pubblicità passerà sempre di più dalla smart tv. Le aziende devono prepararsi a costruire annunci ad hoc. Ecco come funziona il ctv advertising

Pubblicato il 03 febbraio 2021
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Da sempre, l’evoluzione del marketing coincide con quella della società. I comportamenti e le abitudini dei consumatori rappresentano un punto di partenza importante per qualsiasi tipo di strategia, campagna e tendenza in corso. Alla luce di ciò, non c’è da stupirsi se, negli ultimi anni, il CTV Advertising sia cresciuto in modo esponenziale.

Ormai in quasi tutte le case è presente una televisione che si collega ad internet, che sia una smart tv o un dispositivo collegato con Chromecast o simili. Allo stesso tempo, sono sempre di più le persone che usano tali dispositivi, non per guardare la tv generalista, ma per fruire di contenuti in streaming, dai video alle serie tv. Il video entertainment ha avuto un enorme successo soprattutto nel 2020, complice il Covid-19 che ha costretto tante persone a rimanere in casa. E qui si inserisce il CTV Advertising, quella pubblicità trasmessa dai video online che vengono trasmessi dalle piattaforme di streaming. Tali messaggi sono destinati a diffondersi sempre di più ed essere presenti anche nelle strategie di marketing delle pmi.

CTV Advertising: caratteristiche e differenze rispetto alla pubblicità tradizionale

Con CTV si intende un apparecchio televisivo collegato a internet mentre con OTT (Over The Top) ci si riferisce ai contenuti trasmessi online e visualizzati su questo tipo di tv.

La pubblicità su CTV differisce da quella tradizionale per diversi motivi. In particolare, i messaggi pubblicitari online nascono in seguito alla profilazione del target, mentre gli spot trasmessi nella tv tradizionale si rivolgono alla massa, non hanno alle spalle un lavoro di analisi e definizione del pubblico. Perciò un OTT che vedrà un utente sarà diverso da un altro perchè si baserà sui propri gusti e comportamenti online.

Naturalmente questi contenuti non sono trasmessi sulla rete pubblica o canali televisivi tradizionali, ma solo nelle piattaforme in streaming. Esistono due maxi-categorie di tali servizi:

  • Servizi di video on demand (SVOD) che fatturano principalmente grazie all’abbonamento. Parliamo quindi di servizi come Netflix, Disney + e Amazon Prime Video.
  • Servizi di Video on demand in streaming (AVOD) servizi per lo più gratuiti che guadagnano soprattutto grazie a pubblicità, tra questi troviamo per esempio Youtube.

IL CTV Advertising può essere pensato per entrambi i canali, con le dovute differenze. Per esempio, in una piattaforma AVOD come Youtube si punterà più alla quantità, perchè i proventi vengono soprattutto dalla pubblicità. Mentre in servizi con abbonamento, la pubblicità dovrà tenere conto che l’utente già paga un abbonamento mensile, quindi non potrebbe sopportare un’elevata presenza di spot durante la visione di un contenuto. In questo caso, l’annuncio si posizionerebbe prettamente all’inizio del film o della puntata della serie.

Attualmente sono già tante le aziende che lavorano al video advertising, inserendo promozioni su Facebook ma anche su Youtube. La differenza rispetto ad un contenuto di CTV Advertising è che quest’ultimo è pensato per uno schermo televisivo, ben più grande e performante del monitor di uno smartphone da cui si potrebbe guardare un video di Facebook o Youtube.

Se il canale di fruizione cambia, devono cambiare le caratteristiche del messaggio pubblicitario. Le pmi dovranno quindi investire in modo diverso per questo tipo di pubblicità, scegliendo bene il messaggio da lanciare o il servizio o prodotto da promuovere. Ma c’è anche un altro aspetto da tenere in considerazione quando si costruisce una campagna di CTV Advertising: il target.

Target del CTV Advertising: il consumatore tipo

Secondo una ricerca condotta dalla compagnia EY, a luglio 2020 in Italia esistevano 10 milioni di abbonamenti alle piattaforme SVOD. Gli utenti erano in totale 15,8 perchè si è tenuto conto anche degli account condivisi. Rispetto a giugno del 2017 si contano 11,5 milioni di consumatori in più; da gennaio a luglio 2020 le piattaforme hanno raggiunto 2 milioni di persone in più. Come si nota dai numeri, la crescita di queste piattaforme è sempre più veloce anche nel nostro Paese.

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Man mano che il tempo è passato, l’utenza è diventata eterogenea, ciò significa che è in atto una normalizzazione di questi servizi: se prima erano fruiti da una nicchia composta prettamente da Millennial, ora rientrano nel target anche persone più grandi e con interessi diversi.

Sicuramente il target di base è costituito da consumatori dai 20 ai 40 anni, che ha capacità d’acquisto e allo stesso tempo possiede le competenze digitali per conoscere e usufruire di tali servizi. Dai dati a livello europeo emerge però che l’84% del pubblico ha tra i 18 e 24 anni mentre il 90% ha tra i 25 e i 34 anni. Questi utenti guardano i contenuti in streaming anche quotidianamente.

Anche se siamo solo agli inizi, questi dati parlano chiaro: le aziende non possono più fare a meno della presenza online. Avere un sito web è sicuramente una prerogativa per essere competitivi, ma certamente essere presenti nei canali innovativi diventerà cruciale per raggiungere un pubblico di clienti più consistente.

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