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Rebranding: cos’è, quando farlo ed in che modo

Pubblicato il 25 Giugno 2024

Il mercato cambia e anche i brand devono seguire un'evoluzione. Questo mutamento si chiama rebranding. In questo articolo scopriremo nel dettaglio in cosa consiste questa strategia, quando è bene farla e quali sono gli step da seguire per metterla in atto.

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Col termine rebranding, o rivitalizzazione del marchio, si intende quel processo con cui un prodotto, un servizio o un marchio creato e commercializzato con un determinato nome e logo viene rilanciato sul mercato sotto un altro nome (o con un’altra identità).

Non si può, però, analizzare il significato di rebranding senza sapere prima cos’è il branding, ovvero quel processo che le imprese mettono in atto per differenziarsi dai competitor grazie a nomi e simboli distintivi.

Se sei interessato ad avviare un progetto di rebranding o semplicemente se vuoi saperne di più sul re-branding, continua a leggere.

Che cos’è il rebranding

Il rebranding nasce da un’esigenza: cambiare la brand image di un prodotto/servizio, e dunque la percezione che i consumatori hanno di questo o dell’azienda che lo offre.

Non esiste in realtà un solo modo di fare rebranding: si possono modificare elementi distintivi quali il nome, il logo, le strategie di marketing e di vendita (rebranding totale) oppure ci si può limitare a piccole modifiche che migliorino l’assonanza percettiva del prodotto. Ad esempio, se un’azienda acquista un prodotto, può mantenere tutto identico e aggiungervi solo “il nuovo” prima del nome (il nuovo nome prodotto + di nome azienda acquirente). In questo caso, si parla di rebranding parziale.

Secondo il saggio “Rebranding Process – Il Processo di Corporate Rebranding” di Muzellec e Lambkin, il rebranding può invece essere evolutivo o rivoluzionario: nel primo caso riguarda in genere il logo o lo slogan, nel secondo avviene un cambio più radicale che può coinvolgere ad esempio il nome. E se il rebranding evolutivo è percepito in modo meno evidente dagli utenti in quanto è graduale e risponde ad adeguamenti messi in atto dall’azienda, il rebranding rivoluzionario porta con sé cambiamenti radicali che subito saltano all’occhio del consumatore.

C’è infine una terza distinzione, messa in campo da The Economic Times: quella tra rebranding proattivo e rebranding reattivo.

Nel primo caso, l’azienda adotta questa strategia quando vuole migliorare la sua brand image, quando vuole crescere, quando vuole aprirsi a nuovi mercati o raggiungere un target di pubblico mai colpito prima; il secondo caso è invece una risposta a specifici eventi.

Ecco dunque che, a seconda dei casi, si andrà a mettere in atto una specifica strategia di rebranding. Ma scendiamo più nel profondo dell’argomento e spieghiamo bene il significato di rebranding proattivo e reattivo e quando è necessario agire.

Rebranding proattivo o reattivo: quando metterlo in atto

Il primo caso in cui studiare una strategia di rebranding è di tipo “interno”.

Ad esempio, la volontà di raggiungere con quel prodotto un mercato o un target dalle caratteristiche del tutto diverse rispetto ai mercati e ai target a cui attualmente ci si rivolge. Oppure, la volontà di mantenere una certa coerenza tra un’evoluzione del proprio business e l’immagine di quel prodotto. O, ancora, la volontà di crescere e di espandersi. È il sopracitato concetto di rebranding proattivo.

Esempi di rebranding di questo tipo sono le aziende che cominciano a produrre prodotti diversi da quelli che formano il loro core business, e vogliono dunque adattare la loro immagine. Il rebranding così realizzato non avviene dunque sul prodotto, ma riguarda l’intera attività: è il cosiddetto rebranding aziendale.

Oppure, nel caso del rebranding reattivo, si va ad agire in risposta ad un fattore esterno. Ad esempio, una compravendita o una fusione aziendale, l’obbligo di rispondere a questioni legali o di utilizzo del marchio, le innovazioni e i cambiamenti messi in atto dai principali concorrenti. Ma anche, semplicemente, il cambiamento del pubblico (specie in settori che cambiano molto rapidamente, come quelli delle tecnologie o del digital marketing).

Non si tratta però di un’operazione priva di rischi: il cambiamento è sempre destabilizzante, specie se molto evidente. Ed è dunque necessario che il proprio rebranding sia frutto di un’attentissima analisi, per evitare che il pubblico reagisca in maniera negativa. O che non comprenda le motivazioni dietro quel cambiamento.

Ora che è chiaro cos’è il rebranding passiamo a vedere come fare un rebranding in maniera corretta.

Come effettuare un rebranding nel modo corretto

Al di là di quale sia lo scopo della realizzazione del rebranding, è necessario che l’intero percorso segua una logica ben precisa. Poco importa, che le proprie entrate non siano soddisfacenti o che si vogliano acquisire nuovi mercati: la strategia deve essere accorta e tenere conto del target che si intende colpire.

Come comunicare un rebranding, quindi? Tutto deve dunque partire da un’attenta analisi della propria azienda e del proprio brand, individuando punti di forza e punti deboli, ma anche il mercato.

In secondo luogo, bisogna trasferire la mission aziendale sul brand. Sempre tenendo conto che, quel brand, dovrà parlare ad un pubblico ben preciso con le sue esigenze, i suoi gusti e le sue caratteristiche. Scopo di un’operazione di rebranding è catturare infatti l’attenzione dell’utente: ecco dunque che conoscere i suoi interessi e ciò che in un prodotto cerca è fondamentale.

Solo a quel punto si può passare all’aspetto grafico, visivo e testuale del prodotto, arrivando a proporre, magari, dei contenuti social rivisitati, magari ricchi di grafiche, foto e video professionali, in linea con il rebranding.

Esempi di rebranding famosi

Ci sono aziende che, nel tempo, hanno effettuato numerose operazioni di rebranding parziale, apportando piccole modifiche solo lievemente percettibili.

Tra gli esempi di rebranding vincenti vi è quello di Google che – diverse volte – ha modificato il suo font, cambiato l’ordine dei colori, aggiunto elementi (poi eliminati) ed effettuato ridimensionamenti.

Tra i rebranding famosi spicca anche quello di Dropbox, la cui operazione di rebranding è durata dieci anni, trasformando la scatola tridimensionale in una scatola piatta, secondo i dettami del sempre più in voga “flat design”.

Tra i più riusciti esempi di rebranding famosi totali troviamo invece quello di McDonald’s: inizialmente noto come distributore di “junk food”, tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila la catena ha iniziato a introdurre un’offerta più “sana”, a cui il logo non rispondeva più. Così, la M gialla su fondo rosso – sinonimo di un cibo a basso costo e di bassa qualità – ha lasciato il posto ad una M più discreta, su di un fondo verde bosco.

Ovviamente, è fondamentale affidarsi ad un professionista che – per l’operazione di rebranding – non si limiti a disegnare un nuovo logo con nuovi colori, ma sappia cogliere a pieno la filosofia aziendale e i percorsi decisionali che hanno condotto alla rivitalizzazione del marchio. Se necessiti del supporto di professionisti esperti nel settore del rebranding aziendale, mettiti subito in contatto con Italiaonline.

Cosa si intende per rebranding?

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