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Black Hat SEO: cos’è, tecniche comuni e perché evitarla

Pubblicato il 06 Giugno 2025 da Redazione Italiaonline

Molti cercano scorciatoie per scalare la SERP, ma il prezzo da pagare può essere salato. Scopri cos’è la black hat SEO, quali tecniche vengono usate e perché è fondamentale evitarle per non compromettere la visibilità, la reputazione e il futuro del tuo sito sui motori di ricerca.

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Nel campo della SEO, non tutte le strade portano a risultati sostenibili. Alcune, anzi, portano dritte a penalizzazioni da parte di Google. È qui che entra in gioco un concetto fondamentale per chiunque voglia migliorare la visibilità online: black hat SEO… Cos’è davvero?

Con questo termine si indicano tutte quelle pratiche scorrette e non etiche utilizzate per manipolare l’algoritmo dei motori di ricerca e ottenere posizionamenti rapidi – ma instabili e pericolosi. A differenza della white hat SEO, che lavora seguendo le linee guida ufficiali puntando su contenuti di qualità, struttura tecnica solida e user experience, la black-hat SEO prova a “fregare il sistema”.

Ma il sistema non è più ingenuo! Le tecniche black hat possono portare al crollo del sito in SERP, alla perdita di autorevolezza e, nei casi peggiori, alla deindicizzazione totale. In questo articolo analizzeremo le principali tecniche black hat SEO da evitare, chiariremo il confronto tra white hat SEO vs black hat SEO e ti aiuteremo a capire perché l’unica strategia davvero vincente è quella costruita su basi solide e oneste.

Tecniche di Black Hat SEO: cosa non fare mai

Quando si parla di black hat SEO, ci si riferisce a un insieme di tecniche ingannevoli pensate per manipolare il posizionamento su Google. Sono scorciatoie che possono sembrare efficaci nel breve periodo, ma che mettono seriamente a rischio la salute del sito.

Ecco le più comuni da conoscere (e da evitare assolutamente):

  • Keyword stuffing: è una delle pratiche più vecchie e riconoscibili: consiste nel riempire una pagina di parole chiave, spesso in modo forzato e innaturale, nel tentativo di apparire più rilevanti. Il risultato? Testi illeggibili, penalizzazioni garantite;
  • Cloaking: tecnica molto scorretta che mostra contenuti diversi ai motori di ricerca e agli utenti. Ad esempio: Google vede una pagina ottimizzata, ma l’utente atterra su una pubblicità o su un contenuto irrilevante. È una violazione diretta delle linee guida di Google;
  • Link building artificiale: acquisto di link, scambi non naturali, partecipazione a network privati (PBN). Tutte strategie che creano un profilo backlink poco credibile e facilmente individuabile da Google. Un tempo funzionavano, oggi sono rischiosissime;
  • Pagine doorway: sono pagine create appositamente per posizionarsi su parole chiave specifiche e poi reindirizzare l’utente verso un’altra pagina. Ingannano l’utente e peggiorano l’esperienza di navigazione. Anche queste sono penalizzate duramente;
  • Contenuti duplicati o nascosti: copiare e incollare contenuti da altri siti, oppure inserire testi nascosti agli occhi dell’utente (ma leggibili per i motori) sono tecniche di black-hat SEO che compromettono la qualità del sito e ne minano la credibilità.

Google aggiorna continuamente i suoi algoritmi proprio per scovare chi usa queste tecniche. E quando ti scopre, non fa sconti, facendoti incorrere in penalizzazioni manuali, crollo di traffico e perdita di fiducia. Vale davvero la pena rischiare?

White Hat SEO vs Black Hat SEO: una questione di etica e risultati

Quando si parla di ottimizzazione per i motori di ricerca, è chiaro quindi che esistono due approcci radicalmente diversi. Da un lato, la white hat SEO, basata su strategie etiche, trasparenti e orientate all’utente. Dall’altro, la black hat SEO, che prova a “ingannare” Google con tecniche scorrette.

Ma cosa cambia davvero tra le due? Come già accennato, la white hat SEO lavora rispettando le linee guida ufficiali dei motori di ricerca. Punta su contenuti originali e di valore, su una buona architettura del sito e su un’esperienza utente fluida. La black-hat SEO, invece, sfrutta bug, forzature e tecniche ingannevoli per ottenere visibilità, anche a costo di compromettere la qualità del sito.

Usare tecniche black hat oggi non significa solo infrangere le regole, significa mettere a rischio tutto il progetto digitale.

Le penalizzazioni possono essere di varia natura e riguardare:

E non è sempre facile tornare indietro. Recuperare un sito penalizzato richiede tempo, risorse e competenze. Scegliere la white hat SEO significa, quindi, costruire risultati duraturi, basati sulla fiducia degli utenti e sull’autorevolezza del sito.

Tutto questo promette di crescere in modo stabile e scalabile, ottenere link naturali uniti a citazioni spontanee e infine aumentare il tasso di conversione grazie a una migliore UX.

La sfida tra white hat SEO e black hat SEO non è solo tecnica, ma riguarda la correttezza professionale. Chi sceglie la trasparenza investe sul lungo termine. Chi sceglie la scorciatoia, spesso si ritrova a pagare il conto con gli interessi.

Se non sai da dove partire, affidati a chi lo fa di mestiere. Con Italiaonline puoi contare su un team SEO esperto, aggiornato e trasparente, che lavora ogni giorno per portare i brand al successo, in modo pulito ed efficace.

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